La narrazione moderna di Château d’Yquem giunge dopo quattrocento anni di storia con l’Anteprima nazionale della vendemmia 2019, organizzata a Milano da Cuzziol Grandi Vini. Era il 1855 quando il famoso Sauternes di Bordeaux veniva riconosciuto vino Premier Cru Supérieur nell’importante classificazione realizzata per l’Esposizione universale di Parigi. A ricordarci che Yquem non è un vino qualunque ma la perfezione racchiusa nelle uve di Sauvignon Blanc, Muscadelle e Sémillion nel nobile spazio vitato di 113 ettari, è il senso stesso del suo percorso, un grande vino da invecchiamento da attendere per un ventennio, almeno fino ad oggi. Nobile per la magia dell’inclusione della pourriture noble che con garbo ed eleganza avvizzisce e imbrunisce l’acino modificandone la polpa, piano piano svuotata della sua parte d’acqua per concentrarsi di zuccheri; nobile per il singolare microclima, le brume mattutine e il tepore del giorno; nobile per le esigue rese e le vendemmie singolari per mano di donne e uomini specializzati. Forse è per tutto ciò e per molto altro ancora, che la regalità del vino Château d’Yquem lo ha elevato così in alto, posizionandolo tra i vini che richiedono tempo e attesa per una bevibilità soddisfacente, tra quei desideri a volte impossibili da esaudire. Château d’Yquem è il mito, il miracolo della natura e nello stesso tempo un vino unico che va dritto al cuore, rapendo l’anima e i sensi di chi lo assapora.

Con la vendemmia 2019 Yquem cambia finalmente il suo storytelling, indirizzandosi a una relazione immediata e duratura con il consumatore. Un messaggio nuovo che vuole Yquem vivere in nuova fresca giovinezza, un lato meno conosciuto di sé stesso ma più universale, nel senso di capacità di seduzione verso qualsiasi tipo di consumatore, più o meno giovane, più o meno competente. Universale nelle possibilità di abbinamento, non più solo da fine pasto accompagnato al lombardo Gorgonzola o al britannico Stilton, o più semplicemente da meditazione, ma trasversale e versatile in sintonia con pietanze comuni, il pollo arrosto, la cevice, l’anatra all’arancia.

Contro tutte le consuetudini e le logiche degli abbinamenti, oggi il miglior modo per incontrare Yquem è berlo giovane, fresco, magari nell’esperienza dell’ultima vendemmia 2019, cogliendone by the glass l’essenza di un’annata fine che unisce a un frutto ampio, freschezza e concentrazione. La grande brillantezza aromatica è convogliata da un magistrale Sauvignon Blanc in un assemblaggio unico per la percentuale di Sauvignon dedicata – per la prima volta nella storia un buon 45% – e che rapisce il naso per gli ampi profumi di verbena, pepe bianco, menta.

A rassicurarci sul nuovo modo di essere narrato è Yquem stesso. Non è cambiato in alcun modo il suo stile e il confronto con la vendemmia 1999 – annata fortunata, una delle migliori degli anni ‘90 – lo conferma, mantenendo al sorso la stessa inconfondibile linearità di beva, semplicemente evoluto verso suggestioni di cera d’api, mandorle tostate, pistilli di zafferano, caramello salato, torrone al pistacchio, agrumi rossi, spezie dolci, miele di castagno. La freschezza, quella decisa acidità che rende inconfondibile il sorso di Yquem, è la chiave di lettura della sua struttura scultorea per il quale detiene la certezza di essere il più grande vino bianco di ogni tempo.

Ad oggi ci sono circa trenta luoghi nel mondo, tra cui l’Italia, dove poter conoscere Château d’Yquem servito al calice. Una rivoluzione nel mondo di pensarlo, una nuova fase che corrisponde anche a un avvicendamento generazionale. È cambiato l’invito ma non la sostanza, la volontà è solo quella di poter fare entrare in questo piccolo mondo di eccellenza quante più persone possibili. Almeno una volta nella vita

Fonte: Giovanna Romeo